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Storia - FIAMMA YAMATO
Articolo 112

Storia - FIAMMA YAMATO


15/11/2020

 di Bruno Giovannini (Estratto dall’ articolo completo)



I

l presidente della F. Yamato si chiamava Giusto Claudio Panichelli.
Era cresciuto con la sua famiglia nella Francia meridionale ed era un uomo politicamente schierato nella destra che nella metà degli anni 50 del secolo scorso faceva capo al MSI.

Premetto questa informazione non per indicare un’appartenenza politica (peraltro non coincidente con le mie convinzioni ), ma solo per rappresentare nel modo più chiaro la figura di un uomo che, senza mezzi economici, con pochi aiuti indiretti e con una volontà di
ferro costruì una della palestre di judo più rappresentative d’Italia, assumendo come principio primo il valore della diversità di opinioni.
Mai in palestra si parlò d’altro se non di judo, di addestramento, di agonismo.

Era, dunque, il riconoscimento della funzione democratica delle discipline sportive e dello spirito del judo.
Era, insomma, la visione di un uomo illuminato che sapeva vedere oltre le ideologie in un periodo ancora intriso di contrasti e di rancori postbellici. Un uomo che difendeva la sua visione del mondo ma che aveva un grande rispetto per i suoi antagonisti.


Da sinistra in piedi: il Maestro Vinicio Volpi, Bruno Carmeni, Il
Presidente Giusto Panichelli
In ginocchio da sinistra: Alfredo Monti, Tullio Carmeni

Aveva per il judo una grande passione.
Cominciò la sua impresa partendo da una sede del suo partito in via Corvisieri 20.
La prima sede si chiamava Fiamma Bruno Bertocco e in appena due anni di attività riuscì a mettersi in bella evidenza vincendo titoli nazionali e regionali con Tullio Carmeni, Luzi, Guadagni, Baldoni.
Poi l’aumento dei praticanti impose una nuova sistemazione ed il trasferimento in via Tasso 39, nel quartiere San Giovanni. La nuova palestra, che assunse il nome di Fiamma Yamato, era ubicata in un seminterrato, con un tatami di piccole dimensioni , duro come il marmo. Lo spogliatoio era ristretto e la doccia grande come uno sgabuzzino, ovviamente generalmente priva di acqua
calda. La porta d’ingresso era perennemente aperta per consentire un minimo di areazione in contrasto con le finestre a bocca di lupo che si aprivano alla sommità del soffitto.
Ciò nonostante l’aria era sempre intrisa di quel caratteristico odore provocato dal calore dei corpi e dalla tela dei judogi bagnati di sudore. A tarda sera, quando l’addestramento proseguiva oltre le 10.30, ad evitare le ripetute lamentele dei condomini, si usciva da una scaletta posteriore, che da uno stretto abbaino portava in un cortile interno.
Erano tempi “eroici“ che tra il 1955 e il 1960 segnarono l’avvio di un Dojo che arrivò nel 1967 a conquistare il titolo italiano a squadre, rompendo il dominio delle squadre militari.


Il Maestro Ken Noritomo Otani che fu il primo giapponese
venuto (1953) per insegnare

 

Continua a leggere ARTICOLO COMPLETO di Bruno Giovannini nella Rivista Ed. Novembre 2020

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