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Articolo 132

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21/10/2021

Presentazione del libro: manuale del giovane Judoka

Di Alessandro Giorgi



Nei giorni 11 e 12 settembre 2021 si è svolta l’ottava edizione di Judo e Mare (un fine settimana di intenso di judo con ospiti nazionali e internazionali) che nel 2020 non si è potuta svolgere causa l’emergenza di Covid 19.

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li ospiti di quest’anno sono stati il Maestro Hiroshi Katanishi, c.n. VIII° dan, e il suo delfino Maestro Tatsuto Shima.

Lo stage è stato organizzato da Bu-Sen Lerici nella magnifica cornice di un borgo marinaro tra i più belli della Liguria. L’iniziativa è nata dalla collaborazione tra Acsi (come Stage Nazionale Judo) e il Comitato regionale Fijlkam Liguria in un clima di grande collaborazione. All’interno dello stage siamo stati orgogliosi di presentare in anteprima nazionale la pubblicazione del “Manuale del giovane Judoka” opera prima del Maestro Giuseppe Piazza di Milano.

Giuseppe Piazza, maestro di judo VII° dan, iniziò la pratica nel 1970 sotto la guida del Maestro Cesare Barioli al mitico Bu-Sen di Milano. Campione italiano nel ’77 e ’78 successivamente si dedica al perfezionamento della didattica per l’insegnamento ai disabili con il professor Claude Combe. La sua propensione per l’impegno sociale l’ha portato a sviluppare una riflessione continua sulla circolarità tra sviluppo individuale e sviluppo della collettività. Nel ’95 ha fondato l’Associazione il Cerchio asd Milano (www.ilcerchiojudo.it) promuovendo oltre corsi per bambini e ragazzi, stage e convegni che hanno coinvolto, negli anni, centinaia di persone.
Attualmente è componente della Commissione nazionale judo Acsi.

Il libro è introdotto da tre illustri Presidenti, Domenico Falcone (Presidente di FIJLKAM), Antonino Viti (Presidente di ACSI) e Giacomo Ferrari (Presidente di AISE) e chiuso da altrettante importanti signore e Maestre di judo: Emilia Davico, Laura di Toma, Emanuela Pierantozzi e Cinzia Cavazzuti.
Cosa ti ha spinto Giuseppe a scrivere questo libro?

C’è una ragione fondamentale che mi ha convinto a scrivere il libro: la mancanza di letture inerenti al Judo accessibili ai più giovani e ai non esperti. In più occasioni i genitori mi hanno chiesto di consigliare un libro di judo per i loro ragazzi e mi sono accorto con un certo stupore e disappunto che non c’è molto tra cui scegliere, soprattutto per la fascia di età della scuola primaria e secondaria. Inoltre mi sono posto il problema di poter coinvolgere i genitori stessi, quelli che vogliono approfondire e conoscere cosa propone il judo, e ho cercato un modo per metterli nella condizione di fare una scelta consapevole, entrando un poco nei principi etici e pedagogici di questa disciplina.

Con chi hai scritto il libro e a chi pensi che sia meglio indirizzato?
L’idea di scrivere un libro per ragazzi mi frullava per la testa da diversi anni. Se ricordo bene circa quattro/cinque anni fa in occasione di uno stage a Vercelli, ne parlavo con gli amici e gli insegnanti presenti, che hanno accolto la proposta incoraggiandomi e impegnandosi a dare il loro contributo. L’entusiasmo non mancava, le discussioni si susseguivano. Tuttavia il progetto di come costruire il libro trovava degli intoppi, mi sono accorto di difficoltà che non avevo immaginato. Mi sono impegnato in un paziente lavoro di ricerca per trovare un linguaggio semplice e comprensibile a tutti, soprattutto per l’esposizione delle tecniche, che deve essere semplice ma non semplicistica. Poi ho affrontato la ricerca storica sulle origini del judo, storia in cui i fatti si intrecciano con il mito, e un obiettivo è stato quello di districarsi tra le narrazioni trovate nelle diverse fonti e dare una giusta dimensione agli eventi, senza eccessi enfatizzati e nel contempo riconoscendo il valore della proposta educativa del judo. Gli amici e colleghi judoka che mi hanno supportato in questo lavoro sono tutti citati all’interno del libro. Il libro è strutturato come una settimana di stage, dove si vive a stretto contatto con i ragazzi e le storie si intrecciano con la pratica sul tatami. Come dicevo prima, il libro è stato pensato per coloro che non sono esperti, per i non addetti ai lavori. Nello specifico però, parlo ai ragazzi dai nove ai tredici anni, che a mio avviso sono la fascia più a rischio in quanto entrano nella fase dell’adolescenza. Tutti quelli che insegnano avranno notato che a ogni passaggio di ciclo scolastico (dalla scuola primaria alla secondaria e successivamente alle superiori) per diverse ragioni si contano abbandoni. Penso che sia un peccato, perché il judo ha delle ottime argomentazioni sia sul piano della salute fisica, sia sul piano della formazione a trecentosessanta gradi. Occorre valorizzare la nostra storia, il judo del Prof.Kano, rivoluzionario per quel periodo tanto da rendere obsoleta una disciplina autoctona, il jujitsu, gelosamente custodita dai maestri, e creare un nuovo sistema, proponendo la sua visione sportiva e educativa apprezzata nel mondo occidentale.

Di cosa c’è bisogno oggi nel judo?
La domanda è complessa. Prima di rispondere faccio un breve preambolo: quando ho iniziato la pratica del judo presso il Bu-Sen di Milano sotto la guida del M° Cesare Barioli, ero persuaso che il judo potesse influire sulla società e indicare dei percorsi virtuosi, utopie giovanili non c’è dubbio. Attualmente la situazione si è complicata dal mio punto di vista, e lo scontro tra i valori veicolati dal judo e le istanze della società contemporanea è impari. Ci troviamo investiti da un fiume in piena che trascina tutti alla ricerca del facile successo: l’apparire come fine ultimo della propria esistenza. Il judo da solo non riesce a arginare tutto questo. Faccio un esempio. Recentemente ho visto un filmato dove dei bambini, con guantoni, si affrontavano con calci e pugni e uno di questi ha perso conoscenza. Jigoro Kano aveva dovuto affrontare non poche discussioni e scontri per spiegare l’assurdità di tale pratiche negli scontri di jujitsu e ha costruito il judo proprio pensando a una disciplina che non mettesse i bambini (e chiunque la pratichi) a rischio di grave infortunio. Per arrivare al punto: nel judo occorre denunciare queste forme barbare, che propongono lo sport come terreno di violenza e l’agonismo competitivo come unica possibilità. Stiamo assistendo al decadimento e alla regressione culturale, tocca a noi maestri e praticanti alzare la voce, cercare alleati nel mondo della cultura che con noi condividono un percorso educativo e sociale. Non dico nulla nuovo, l’abbiamo visto nelle azioni del fondatore del Judo, e per esperienza al Bu-Sen di Milano, ad esempio con Marcello Bernardi. Oggi nel judo vedo il bisogno di creare reti culturali e alleanze inter-disciplinari per promuovere una proposta educativa, pedagogica e infine culturale: uscire dalla logica della competizione, formarsi una morale che distingua il bene dal male, imparare a non lasciarsi abbindolare del canto del facile successo.

Cosa può aggiungere alla vita di un ragazzo oggi il judo?
Da mio punto di vista, e per fortuna di molti altri insegnanti, il judo può rappresentare un argine alla perdita dei valori a cui assistiamo e un sostegno al percorso di formazione dell’individuo, affinchè sia essere umano autonomo, consapevole, dotato di un’etica. All’inizio degli anni ottanta il Bu-Sen ha dato un forte impulso alla diffusione del judo per ragazzi e adulti con disabilità, oggi si annoverano centinaia di insegnanti di judo che se ne occupano, ma non basta. Nei nostri corsi, negli stage e anche nelle competizioni, dobbiamo ribadire concetti, presenti nella pratica come: la responsabilità nei confronti del compagno, il rispetto per sè e per gli altri, la condivisione e socializzazione, conoscere la fatica che diventa virtù. Assistiamo a comportamenti, quali il non ammettere e non riconoscere i propri errori, il cercare scuse per non rispondere del proprio operato, essere sempre pronti ad accusare altri a costo del ridicolo, non assumersi le proprie responsabilità, veicolati da personaggi appartenenti a istituzioni politiche, scolastiche, imprenditoriali e altro ancora. Queste per me sono situazioni avvilenti, che ritroviamo in ogni attività. Questo modo di pensare e agire è l’anti judo e secondo me è una tendenza che occorre combattere con ogni mezzo. Il rispetto, “stare bene per essere utili”, avere cura del proprio corpo, imparare a conoscere i propri limiti, migliorarsi e superare ostacoli, influisce sulla psiche e sull’autostima del giovane judoka. Per occuparsi dell’altro occorre essere in grado di farlo, e parlo di etica, di quel sentire che ci conduce ad aiutare chi è in difficoltà, superando la legge del più forte secondo cui il più debole deve soccombere, secondo un millantato equilibrio naturale, a cui ci si aggrappa solo all’occorrenza. L’essere umano ha seguito una linea di sviluppo che ha portato alla costruzione di una società che si pone regole proprie, differenti da quelle della jungla, e quindi perché non possiamo scegliere regole e leggi che vadano nella direzione del preservare l’umanità, intesa come insieme di valori e principi da perseguire anche se faticosi? La fatica non deve spaventare i ragazzi, anzi deve essere vissuta come una sfida che diventare una virtù, pensare che tutto sia dovuto, rendere tutto facile per conseguire un successo è pericoloso, fuorviante e illusorio. Il buon judo può condurre il giovane a percorrere la propria avventura della vita, dandogli strumenti affinché sia una vita propria e consapevole, in piccolo è quello che propongo negli stage estivi e nel dojo.

Per capire come, bisogna leggere il libro ;)

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