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イタリア柔道
Ricordando Ishii San
03/10/2020
span style="color: #ff0000;">Non amava essere chiamato maestro, forse perché la sua concezione di maestro era legata
a quei grandi uomini di judo che lo avevano formato: il nonno ed il padre quando era un ragazzo, ed
i Maestri Sumiyuki Kotani ed Yoshimi Osawa quando da studente universitario, frequentava il fortissimo dojo
di Waseda. Per questo noi, i suoi allievi del KDK Roma, eravamo soliti chiamarlo: Ishii San.
Ricordando Ishii San
Divenni allievo di Ishii quando nel 1960, su consiglio del maestro Ken Otani, mi trasferii dalla YMCA di
Roma alla KDK, storico sodalizio romano da dove, nel 1953 con l’arrivo in Italia di Ken Otani, si diramò un
judo di solide basi. Avevo 15 anni e due anni di pratica judoistica. Crebbi molto alla scuola di Ishii, una scuola
severa ma ricca di contenuti tecnici e morali. Quattro erano le sedute di allenamento settimanale previste al
KDK: lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì, e a volte ci si trovava sul tatami anche la domenica con il rituale
aperitivo del post allenamento, preso nel solito bar della vicina Via Cola di Rienzo. Non amava dilungarsi in spiegazioni verbali, Ishii San, l’esempio pratico era una caratteristica della sua didattica ed il randori era il punto cardine dei suoi allenamenti. “Nel randori”, asseriva, “si evidenzia la creatività, il carattere, la tecnica ed il senso estetico del judoka”. È difficile definire quante volte Ishii ed io, si sia fatto randori assieme in qui cinque anni. Erano randori duri i nostri. I
suoi tiri precisi, veloci, potenti erano per me vero colpo di frusta a livello morale. Ishii San, mi propinava la
medicina giusta per mitigare l’irruenza e l’aggressività che mi caratterizzavano. Inoltre, in quel periodo
“andare giù” non era proprio di mio gradimento. Avevo circa 16 anni quando in un randori con Ishii, questi mi
disse: “C’è una continua tensione nel tuo corpo, non va bene”, replicai “È per difendermi dai suoi attacchi
(cosa che mi riuscì difficile anche negli anni a seguire).
Ishii scosse la testa e proseguí: “Non ti stai difendendo dai miei attacchi stai soltanto rifiutando il mio judo.
Non è questo il modo per migliorare. Devi imparare ad aprirti mentalmente per imparare a comprendere il
tuo avversario, e a decontrarti per consentire al corpo di agire in base a quanto la mente gli suggerisce.” Ci
volle del tempo ma imparai.
Continua a leggere articolo di M° F. Tavolucci ARTICOLO COMPLETO nella Rivista Ed. Settembre 2020