Editoriali
In risposta all’editoriale: “Ma che judo è questo?”
Articolo 140

In risposta all’editoriale: “Ma che judo è questo?”


21/12/2021

Alessandro Giorgi Vs. Giuseppe Morelli



Le mie risposte (Pino Morelli) sono caratterizzate dal segno rosso. Le scritte completamente in nero fanno parte della lettera di Alessandro.

M

i ha scritto il mio amico Alessandro Giorgi per rispondermi all’Editoriale di ottobre (del numero scorso) e mi ha fatto piacere accendere un dibattito, seppur minimo perché sa come la penso sul judo e io so come la pensa lui. Abbiamo tutti e due le stesse posizioni ma quando una cosa le vediamo in maniera differente apriamo un dibattito e che voglia Dio sia sempre così! Perché se non c’è un dibattito vuol dire che le menti sono appiattite su un unica posizione mandando a quel paese il libero pensiero, la libertà di parola e la facoltà di contestare, che se parte da  una azione civile è sempre foriera di nuove idee che potrebbero portare a “rivoluzioni”. Sono contento della lettere di Alessandro che, ancora una volta, mi dimostra che chi ama il judo, come noi due, ha la maniera giusta per portare queste parole e trasformarle in fatti.
Fate sentire di più la vostra voce e più forte sarà la voce del judo.
Buon Natale a tutti voi, contestatori per amore.

Le mie risposte (Pino Morelli) sono caratterizzate dal segno rosso. Le scritte completamente in nero fanno parte della lettera di Alessandro.


Facciamo finta che non ci conosciamo, facciamo finta che il tuo editoriale non sia stato scritto per cojonare, ti faccio questa domanda: “Quanti tipi di judo esistono?” Forse tanti quanti sono i judoisti sulla terra? Nooo?!? Molti meno? Forse esistono due tipi di judo, quello fatto bene e…..tutto il resto. E se è così, qual’è il judo fatto bene? Bon, così non ci arriviamo certo alla definizione...rincominciamo da capo.

 “….Mi chiamo Filippo, ho sei anni, a scuola mi diverto ma non riesco a stare fermo...la maestra dice che o mi ha punto una tarantola oppure ho l’argento vivo addosso...io comunque non riesco a stare fermo. Oggi hanno perfino detto che una malattia strana...ha solo lettere A.D.H e poi non ricordo...non riesco neppure a stare molto attento. Papà oggi mi porta a fare judo, bene, sono contento se a judo ci si muove.”

Ecco per questo bambino esiste il judo tradizionale? Non credo proprio, certo avrà bisogno di un buon maestro, ma chi non ne ha bisogno? E comunque un buon maestro a quell’età è una persona intelligente, paziente e comprensiva.

Il bambino farà judo a scopo terapeutico ma lui non deve sapere se c’è un judo tradizionale o meno, sono d’accordo con te che avrà bisogno di un buon maestro, di un maestro di judo. Che conosce il judo e sa insegnarlo ai bambini affetti ad ADHD (sindrome da Deficit di Attenzione/Iperattività)


Filippo cresce, ora di anni ne ha 12. “...zio billy, i miei vecchi compagni hanno smesso di far judo, vorrei seguirli per fare qualcos’altro, chissà basket, anche se non mi piace basket. Uffi, io sto bene qui a judo ma gli altri prima o poi ti lasciano...per fortuna si è iscritta Alessia, io sono cintura blu la aiuto a fare le cadute….è piena di lentiggini ha degli occhi grandi e quando mi guarda faccio fatica io a reggermi in piedi. La settimana prossima ci sono le gare, non vedo l’ora, anche se ho tanta paura...verrà Alessia e non voglio far brutte figure….”

Adesso Filippo avrà bisogno del judo tradizionale? Non credo. Di un buon maestro sempre si! Una persona per bene che lo prepari alle competizioni giuste per lui, che gli stia accanto e soprattutto che ci sia quando è necessario.

Come Sopra

 

Sono trascorsi dieci anni da quella gara, Filippo ha fatto ancora qualche anno di judo, ha vinto qualche gara, il maestro gli ha detto che era promettente e che avrebbe potuto togliersi delle soddisfazioni se avesse continuato. Ma il Liceo era difficile e lontano da casa, i tempi non gli permettevano più di conciliare l’uno e l’altro per cui la scelta era facile da fare e con Alessia qualcosa era andato storto.

Ora Filippo ha trentanove anni, è un felice ricercatore all’Università di Padova, fa ricerca sulle metallotioneine. Dopo il liceo, l’università, Biologia a Pisa, poi una serie di esperienze all’estero e oggi è finalmente rientrato in Italia, ha vinto un concorso ed è ricercatore Associato. Ha moglie e figli turbolenti come era lui, ma fanno rugby, perché il Veneto è: casa, chiesa, lavoro e rugby….il gioco di tutta una regione. Filippo si è ingrassato un poco e spesso si ripete che dovrebbe fare un po’ di sport e così un giorno particolare dove per tornare a casa fa una strada a piedi che non aveva mai fatto, ecco là cosa ti incontra...una piccola palestra di judo. Il suo cuore improvvisamente gli batte forte, inaspettatamente. Si avvicina, sbircia dalla porta a vetri aperta...sta cercando qualcuno? le chiede prontamente una signora brizzolata, con una matita infilata tra i capelli che ha terminato di scrivere su una tastiera e sollevando lo sguardo lo scruta furbetta al di sopra dei mezzi occhiali.
Ed oggi, 27 anni dopo che Filippo è entrato in palestra per la prima volta, Filippo ha bisogno del judo tradizionale?
No di certo, avrà bisogno di un insegnante per bene che abbia insegnato ai propri allievi il rispetto dell’altro. Judo non è un combattimento per la vita e l’altro non è uno da sgretolare per dimostrare quanto sono forte. Perfetto abbiamo dimostrato che il judo tradizionale non serve a nulla.

Come sopra

 

Ma siamo sicuri che nella vita reale vada cosi?
Perché in molti posti che conosco non va così!
Magari avessimo un insegnante nel corso dei bambini che è una persona intelligente, paziente e comprensiva e nel corso degli adolescenti un insegnante per bene che li prepari alle competizioni giuste per loro, che gli stia accanto e soprattutto che ci sia quando è necessario. Infine, magari, avessimo un insegnante per bene che abbia insegnato ai propri allievi il rispetto dell’altro. Judo non è un combattimento per la vita e l’altro non è uno da sgretolare per dimostrare quanto sono forte.
Sapete benissimo che non è così, almeno nella maggior parte dei casi.
Abbiamo una ristretta classe di insegnanti bravissimi accanto ad una realtà molto più grande di dopolavoristi con il sogno di affermarsi attraverso i successi di un allievo.
Abbiamo insegnanti e judoisti meravigliosi ma la base è molto ignorante.
Abbiamo tanto di una cosa sola, troppo di una cosa sola e il periodo del Covid l’ha dimostrato.

La carbonara è una delle paste che preferisco, ma posso andare al ristorante e ordinare solo quello come antipasto, primo, secondo e dolce? E’ una follia!
Dove vado vado trovo sempre lo stesso piatto!
Il judo oggi è così, esiste solo l’agonismo, che è una cosa fondamentale ma non può essere l’unico indirizzo possibile e per tutti nello stesso modo. E non nominarmi quelli che fanno kata, sono sicuro che se ci fosse un buon ràndori qualcuno se lo farebbero anche loro. Li releghiamo in un recinto e li costringiamo a fare solo quello! Purtroppo tra di loro ci sono fior di judoisti che avrebbero tanto da insegnare, ma non li ascolta più nessuno con la scusa che il judo ora è diverso e che loro, ai loro tempi, facevano il vecchio judo.
E non dirmi Pino, che in tante palestre non è così! Il ràndori è un esercizio dimenticato, per alcuni sconosciuto; non risponde alla necessità di far stare assiemi persone con differenti esigenze, oggi l’unica esigenza è vincere e la vittoria, come si sa, non si spartisce ma si conquista.

Hai ragione in questo, la penso come te però il judo è anche agonismo e non si può escludere dalla “vita del judo”


Per questa ragione spesso troviamo il corso di bambini di 8 anni dove già è instillata questa febbre: bisogna vincere! Quindi non cadono e quindi non imparano.
Corsi di dodicenni che ti strappano le prese e stanno piegati per distruggere il tuo judo senza impegnarsi a creare un loro modo di fare judo, una loro tecnica per buttare giù. Judo è diventato uno scontro troppo pericoloso, abbiamo ragazzini che a 14 anni sono già operati alle ginocchia, produciamo una classe di agonisti che a vent’anni sono rotti, proprio quando dovrebbero fiorire e diventare fortissimi. Ma lo sai che in moltissime palestre se ti iscrivi dopo i dodici anni ti dicono che è troppo tardi e ti consigliano un altro sport?
Hai ragione. Ma quello che stai affermando e tutto quello che io vado a dire in tutti questi anni.

Abbiamo le palestre svuotate, ragazzi che dopo pochi anni mollano, adulti che smettono presto di far ràndori, si disaffezionano perché quello che chiamiamo ràndori in realtà è solo uno shiai fatto male e se devono andare a lavorare non posso farsi male in palestra la sera prima solo perché fanno con un giovane che la domenica vuole vincere. Abbiamo palestre dove i giovani agonisti non sanno fare ippon ma solo trascinarti giù (come va va…) e sanno cadere solo di pancia per non farsi fare punto. Il judo senza agonismo è monco, ma l’agonismo senza tutto il resto non può sopravvivere.
Abbiamo costituito la spina dorsale tecnica del Brasilian Ju Jiutsu, con i transfughi del judo solo perché da loro ci si diverte e non si hanno incidenti. Abbiamo costruito modelli di confronto che si basano sulla paura: la paura di non essere forte, la paura di essere giudicato dagli altri che vedono il mio ràndori, la paura di subire una proiezione e di farmi male. 


Hai ragione, anche io vedo in molte palestre questo stato di cose 

 

Hai mai letto il Paradosso di Schrodinger? 
Mostra che la presenza dell’osservatore modifica l’esperimento. Così è nel judo, se due fanno ràndori da soli in una palestra senza nessuno che vede è un conto, appena c’è un osservatore, le cose cambiano: chi si sente osservato modifica il suo atteggiamento. Spesso il ràndori è un problema dato dal terzo che osserva.
Pino, forse incontri tecnica e cultura del judo quando vai in giro per le palestre? 
Incontri forse quella poesia che è nei nostri occhi quando vediamo un bravo judoista muoversi? 
In questi anni abbiamo una nazionale fortissima soprattutto nelle generazioni giovanili, perché nonostante tutto gli italiani sono sempre geniali, anche nello sport, ma non sarà sufficiente.
Ma vedete la partecipazione alle qualificazioni regionali? Il numero degli iscritti? Il judo sta morendo e noi dileggiamo il judo tradizionale? Quando ci metteremo ad un tavolo per fare un’analisi seria e stabilire tutti insieme una strategia? 

Se vai a leggerti i numeri “vecchi” di “Judo Italiano” trovi le stesse affermazioni che tu stai enunciando adesso


Attenzione ai cugini d’oltralpe, per il calo degli iscritti del judo (meno di 600.000), il Presidente della Federazione francese, Sthéphan Nomis, ha presentato un progetto in Parlamento sui soldi che lo sport fa risparmiare in termini di salute, ordine pubblico e svantaggi sociali. Il Governo ha stanziato 40 milioni di euro per aprire 1.000 nuovi dojo in tutta la Francia. Così si combatte la deriva del covid, aiutando le strutture e investendo sulla ripartenza. 
Ti do due dati nostri.

Qualificazione Campionato Junior 2021, numero complessivo in tutte le categorie maschili+femminili:

Piemonte: 83 iscritti
Lombardia: 68 iscritti
Toscana: 39 iscritti
Lazio e Abruzzo: 84 iscritti
Campania: 60 iscritti
Sicilia: 52 iscritti
Sardegna: 12 iscritti

Colpa del judo tradizionale? Ma dove pensi che andremo?

Yves Klein l’ha capito nel ‘53 mentre tornava dal Giappone con il diploma di quarto dan in tasca. Ha capito subito che il judo stava degenerando e si stava impoverendo di significati, di arte, di bellezza e che l’agonismo non poteva essere l’unico valore. Noi non lo ascoltammo, forse perché era un grande artista o forse perché morì pochi anni dopo.

Diceva:
“ Il judo è un’arte dello stesso valore della grande musica, perché deve essere ricreato ogni volta che lo vogliamo di nuovo davanti agli occhi. E’ un’arte personale e universale perché è l’arte nella lotta, che è come dire la vita stessa”.

Ma le stesse cose dicevano Gunji Koizumi, padre del Judo britannico (1906) quello che compose la più bella lirica del judo dopo aver incontrato il Maestro Jigoro Kano in Inghilterra (1920).


Il judo ha la natura dell’acqua.

L’acqua scorre per raggiungere un livello equilibrato.
Non ha forma propria, ma prende quella del recipiente che la contiene.
È indomabile e penetra ovunque.
È permanente ed eterna come lo spazio e il tempo.
Invisibile allo stato di vapore, ha tuttavia la potenza di spaccare la crosta della terra.
Solidificata in un ghiacciaio, ha la durezza della roccia.
Rende innumerevoli servigi e la sua utilità non ha limiti.
Eccola, turbinante nelle cascate del Niagara,
calma nella superficie di un lago, minacciosa in un torrente
o dissetante in una fresca sorgente scoperta in un giorno d’estate.
Questo è il principio del judo.

Oggi dove si trovano le ispirazioni per essere così poetici?

Le stesse cose le diceva Takahiko Ishikawa (grandissimo agonista) che pareggiò con il mitico Kimura (1949) e che molti anni dopo essere in Francia si inventò il Junomichi perché diceva che il judo era troppo rigido e la tecnica non era studiata perché meno necessaria in gara.
Della stessa opinione anche Luc Levannier, Guy Pellettier poi Ichiro Abe (10° dan vivente) e in Italia il compianto Maestro Barioli, tutti grandi campioni che vedevano sfiorire la qualità del judo. Facevano Judo tradizionale tutti quelli? No, facevano un Signor Judo, quelli.
E fu così che provarono ad appiccicare un aggettivo ad un sostantivo, un tentativo disperato per portare il judo alla concezione pedagogica del fondatore.
E sono sicuro caro Pino, che i tuoi maestri passati e presenti in cuor loro non sono felici di un judo di base così brutto e povero. Non so come potremmo fare per migliorare il livello, forse basterebbe insegnare con più umiltà e chieder ai più bravi come fare. 
Yves Cadot un giorno mi disse una frase interessante che gli diceva sempre un suo professore di università: “ Noi dobbiamo lavorare sempre per il livello medio, perché i fenomeni non hanno bisogno dei nostri insegnamenti…”.
Aveva ragione

Ora ti rispondo io perché il giochino mi è piaciuto, al tuo contro/contro editoriale.
So di stare a dialogare, anche se solo per iscritto, con un amico e so quel che pensa del judo e che ci “Brillano gli occhi” quando vediamo fare il judo in maniera eccezionale. Mi dispiace che questo argomento non venga fatto in presenza.
I miei Maestri sono stati il fiore dei Maestri  in Italia – questo lo dico senza avere paura di essere smentito.
Io ho iniziato ad 8 anni con il Maestro Danilo Chierchini (è stato il fondatore dell’AKIKAI d’Italia e allievo del Maestro Tada) che, secondo me, mi ha messo sulla buona strada per poter apprendere il judo. Poi ho continuato con Luciano Di Palma quando tornò dalle Olimpiadi di Monaco e poi sono passato con il Maestro Ferdinando Tavolucci (grande amico di Luciano Di Palma) docente dall’Accademia di Judo per oltre 20 anni. Mai nessuno mi ha mai parlato del judo tradizionale. Il judo era uno. Poi c’era il judo agonistico, il judo per i praticanti che non volevano fare agonismo, il judo per i dopolavoristi. Ma era sempre judo. Tra tutti i libri di Jigoro Kano non esiste una frase che riconduca al “judo tradizionale”. Kano ha inventato il judo, basta.
Mi dirai, ed in questo sono d’accordo con te, che non esistono più i bravi insegnanti e dire che un bravo insegnante si fa con una settimana (basta che paghino) è una pura follia. Tu mi hai parlato dei francesi; ebbene qui, da noi, non c’è la mentalità dei francesi, c’è la mentalità di Kurosawa. Tutti sono dei samurai. Non gli si può dire niente che subito prendono d’aceto, perché hanno il judo infuso. Sono anni che sto dicendo al Presidente di riaprire la vecchia accademia perché uno che vuole insegnare judo fa una scelta di vita e non può fare il “DOPOLAVORISTA” tutta la vita. Perché il dopolavorista e come quelli che hanno giocato al calcio da piccoli e si credono dei grandi allenatori, allenano i pulcini a vincere perché loro non hanno mai vinto un….Non voglio essere volgare ma è la stessa cosa che hai detto tu in risposta al mio editoriale.
Tu accusi me di “non credere” che ci sia un judo tradizionale, ma lo dico perché non c’è.
Tu accusi me ma, in sostanza, te la prendi con i nuovi istruttori che non sanno insegnare e pensano solo alle vittorie perché si credono che il passaggio dei Dan passi per le medaglie che hanno preso i loro ragazzi. Il judo è tradizione e per tradizione va insegnato come si deve; bisogna apprendere le basi bene per trasmetterle al meglio, un cattivo insegnante farà un judo che non è in linea con la tradizione, per contro, un buon insegnante sarà in linea con la tradizione se avrà capito le basi che gli sono state tramandate e le ritrasmette ai suoi allievi, magari modificandole di un poco a seconda del judo agonistico.
Un’ultima cosa. Quando ero giovane non si vedevano così tante cinture Bianco/Rosse, era difficile vederle. Era cintura 6° Dan il Maestro Ken Otani che mi ricordo veniva spesso ai Monopoli (la mia palestra). Adesso ti impari qualche kata e prendi la cintura bicolore. Sei sicuro che quegli insegnati sappiano insegnare bene il judo? Eppure l’hanno presa facendo un judo “Tradizionale”.
Il mio Maestro, Luciano Di Palma, mi diceva sempre:


“Capocciò il tatami non mente”.

Sarà vero?

judoitaliano su facebook like judoitaliano